Gina Mastroianni
La balestra della pace
Le parole della maestra risuonavano forti e chiare: "Questa quercia ha 800 anni. Guardate come è grande il suo tronco! E i rami!". I bambini non riuscivano con lo sguardo ad abbracciare tutto il grande albero. Tra i suoi rami e le sue foglie i raggi del sole filtravano appena. Il suo tronco era largo e robusto, la corteccia antica e rugosa, come la pelle di un vecchio. Giacomo ne era incantato. Non riusciva a staccare lo sguardo. Pensava tra sé: "Chissà quante storie avrà visto. E quante persone in tutta la sua vita!". Avrebbe voluto avvicinarsi, ma c'era una recinzione che proteggeva l'albero. La maestra richiamò tutti i bambini. Dovevano andare via, continuare il loro viaggio.
Giacomo avrebbe voluto rimanere lì. A guardare e a parlare con la quercia. Allora si nascose dietro a un cespuglio e aspettò che l’autobus con i suoi compagni e la maestra ripartisse. Quando fu sicuro che fossero lontani, uscì dal suo nascondiglio e oltrepassò la recinzione che proteggeva l'albero. Come era contento di poterlo finalmente toccare. La sua mano accarezzava il tronco ruvido e duro. Avrebbe voluto abbracciare la quercia, ma le sue piccole braccia non ce la facevano a circondare i 15 metri di circonferenza della quercia. Ad un certo punto si accorse che c'era una cavità nel tronco, un piccolo incavo. Sì abbassò, cercò di guardare dentro e poi infilò la mano. Toccava qualcosa e cercò di prenderla. Era una piccola balestra, antica, consumata, senza più le corde da tendere. Giacomo osservava l'oggetto con curiosità e si chiedeva a chi potesse essere appartenuto.
"A un bambino come te!", rispose una voce profonda. Giacomo si guardò intorno, ma non vide nessuno. "Chi ha parlato?" chiese con timore. E la voce profonda: "Io!".
Giacomo continuava a cercare intorno a sé, dietro i cespugli, il tronco: nessuno.
"Sono io, la quercia!". "Ho letto i tuoi pensieri e ho risposto. Volevi sapere a chi era appartenuta la balestra?". Giacomo guardò in alto. Era spaventato e senza parole. Avrebbe voluto fuggire, ma le gambe non gli ubbidivano.
"Non devi aver paura di me. Puoi sentire la mia voce perché sei un bambino buono, ami e rispetti la natura. Sei amico delle piante, degli alberi e degli animali".
Giacomo sentì che non doveva avere paura. La grande quercia era suo amico!
"Scusami se mi sono avvicinato e ti ho toccato. Sei così bello e grande! Quanti anni hai? Lì c'è scritto circa 800". Rispose l'albero: "Ho 853 anni, per essere precisi. Quando ero solo un giovane albero, qui intorno c'era una grande foresta. Poi gli uomini con il passare dei secoli l'hanno distrutta. Come fanno con tutto ciò che li circonda". Giacomo gli chiese chi era il bambino di cui gli aveva parlato. "Circa 800 anni fa, quando ero ancora giovane e non tanto alto, gironzolava sempre qui intorno un bambino. Si chiamava Giacomo, proprio come te. Era il figlio di un povero taglialegna, ma voleva diventare un cavaliere e andare a combattere. Con un pezzo di legno si era fatto una specie di spada, e veniva sempre qui a giocare e a far finta che io o qualche altro albero eravamo i suoi nemici. Però amava molto la natura e noi alberi. Ci rispettava e gli dispiaceva sempre quando suo padre doveva abbattere uno di noi. Un giorno, mentre era qui che giocava, passarono tanti cavalieri. Erano tutti scintillanti nelle loro armature, e colorati con i loro stemmi e stendardi. Giacomo si fermò e li osservò incantato. Quando arrivarono vicino a me, si fermarono. Il loro capo chiese a Giacomo se c'era un villaggio nelle vicinanze: avevano bisogno di acqua e di cibo per continuare il viaggio. Stavano andando in Terra Santa per le crociate. Giacomo disse che li avrebbe accompagnati al suo villaggio. Allora un cavaliere lo prese con sé in groppa al suo cavallo. Figurati la sua gioia! Insieme a un cavaliere sul suo destriero. Durante il tragitto gli fece molte domande, e soprattutto gli chiese come fare per diventare anche lui un cavaliere.
Voleva combattere anche lui e anelare alle crociate. "Noi andiamo a combattere perché è nostro dovere, ma non si dovrebbe mai fare guerra. Non sognare di diventare cavaliere per uccidere: niente può giustificare una guerra. Un vero cavaliere aiuta chi ha bisogno, soccorre i poveri, le vedove, i bimbi. Porta la pace".
Giacomo rimase a fissarlo: un cavaliere che non voleva combattere! Non si era mai visto. Era strano quell'uomo. Scuro di carnagione e di capelli, alto, robusto e forte, con degli occhi verdi, ma pieni di tristezza. Giacomo sì sentì scrutato quando incontrò quegli occhi. E che mani forti aveva quel cavaliere! Quando lo aveva issato sulla sella del cavallo, lo aveva preso con una stretta vigorosa e decisa.
Giacomo gli chiese perché non voleva combattere. Era bello fare la guerra. Si poteva dimostrare il proprio valore, il proprio coraggio. Diventare degli eroi.
"Non è uccidendo che si dimostra il coraggio. Ho lasciato la mia famiglia, mio figlio, un bimbo della tua età. E non so quando e se ritornerò. Se potrò vederlo crescere, se potrò giocare con lui, insegnargli a vivere. Il coraggio è nell'amore che portiamo agli altri, anche ai nostri nemici. Noi stiamo andando nella terra di Gesù a fare la guerra, a portare odio, nel paese di colui che ha insegnato ad amare, a perdonare".
Giacomo continuava a fissarlo. Era rapito dalle parole del cavaliere. Le aveva sentite già una volta da un monaco che era passato di là. La mano del cavaliere gli sfiorò i capelli, con una carezza. "E' come se stessi toccando mio figlio. Non combattere mai ragazzo, mai con le armi, non uccidere mai nessuno. Lotta sempre per portare la pace. Tu puoi farlo. Ricorda che le tue armi sono la pace e l'amore".
Il bimbo lo guardò mentre si allontanava e si avvicinava ai suoi compagni. Poi guardò a terra e si accorse di una piccola balestra. Doveva essere caduta dalla sella di qualche cavaliere. La raccolse e la strinse tra le mani. Ora aveva un'arma come i cavalieri! Era felicissimo!
Finalmente poteva anche lui far finta di combattere in attesa di diventare un uomo. Dimenticò le parole di pace del cavaliere. Il coraggio è nella lotta non nella pace. Che andava dicendo!
Si recò subito nel bosco per provare la sua balestra. Correva, saltava, sì nascondeva dietro gli alberi. Venne anche da me e mi staccò dei ramoscelli per farne delle frecce. Le lanciava verso l'alto, senza nessun bersaglio preciso. Era felice della sua balestra. A un certo punto una delle frecce colpì un uccellino che stava volando. Cadde giù. Proprio ai miei piedi. Giacomo si avvicinò e lo prese tra le mani. Non voleva fargli del male. Non aveva mai colpito nessun animale prima d'ora. Cercò di aiutarlo. Non vedeva nessuna ferita. Poi l'uccellino aprì le ali, come se stesse per spiccare il volo, e alzò la testa verso il cielo. Giacomo aprì la mano, felice, perché l'uccellino stava bene e voleva volar via. Ma fu solo un attimo. Richiuse le ali e chinò la testa. Morì tra le mani del bambino. Giacomo rimase senza parole. Senza pensieri.
"Non uccidere mai nessuno". Le parole del cavaliere iniziarono a risuonare nella sua mente. Ora capì cosa aveva voluto dirgli. Mai far del male a nessuno, uomini o animali che siano. Non si deve uccidere. E lui lo aveva fatto. Seppellì con le lacrime agli occhi l'uccellino. E si fermò sotto di me. In silenzio. Quando andò via era notte fonda. Giacomo era diventato grande in una sola notte. Ma prima di andare via, lasciò la balestra in una piccola fessura del mio tronco. Andò a casa. Non lo vidi più per tanti anni.
Altri bambini vennero a giocare presso di me. Divenni più grande. La balestra era sempre nel mio tronco. Un giorno un monaco, molto anziano, si fece presso di me. Mi accarezzò il tronco. E prese la balestra nascosta. Sapeva perfettamente dov'era. Era Giacomo! Un uomo, ormai, anziano. E monaco. Era diventato francescano. Mi raccontò la sua storia, i suoi viaggi, le sue predicazioni. Era stato in Terra Santa tante volte. Non come crociato, ma come frate. Per portarvi la pace e l'amore di Gesù. Per aiutare chi aveva bisogno. Era diventato un cavaliere, ma di Cristo. E ne era felice. Rimise la balestra al suo posto. Mi accarezzò nuovamente. E mi disse addio. Sapeva che non sarebbe più tornato. La sua vita era alla fine. Questa è la storia della balestra che hai trovato nel mio tronco".
Giacomo fissò l'oggetto che aveva in mano e fissò la grande quercia. "La rimetto al suo posto. È lì che deve rimanere. Voglio diventare anch'io un cavaliere". "E lo diventerai, cavaliere di pace". Rispose l'albero. "Ora però devi ritornare a casa. Saranno tutti preoccupati per te. Quando avrai realizzato il tuo sogno, torna da me. Sarò qui ad aspettarti, con la balestra della pace".